Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:44 min.
Etichetta:Metal Heaven
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. CAN STAY IN HELL
  2. SECRET GARDEN
  3. GET IT LIVE!
  4. SABRINA
  5. YESTERDAY
  6. STEAL MY BABY
  7. GOTTA LEAVE YOUR MAMA
  8. DARK CITY
  9. SAVE ME

Line up

  • Tom Fischer: vocals
  • Ralph Däler: lead guitar
  • Mike Schneider: rhythm guitar
  • Emi Kiossovska: bass
  • Sämi Trutt: drums

Voto medio utenti

Conosciuti inizialmente con il nome di Mines, gli svizzeri Unchain, giungono al debutto discografico dopo aver maturato un’importante esperienza sui palchi del loro paese, da soli o in compagnia dei nomi più noti della scena locale, come Shakra o i veterani Krokus, i quali, insieme con qualcosa dei primi Gotthard ed arrivando fino agli AC/DC e ai Great White (ma anche ai meno noti Little Caesar, autori nel 1990 di un album omonimo su Geffen davvero esplosivo), risultano essere le loro principali fonti d’ispirazione.
Musicalmente, quindi, gli Unchain proseguono la tradizione di classico e frizzante hard rock ‘n’ roll melodico, influenzato dal blues e contraddistinto da energiche sfumature street, piuttosto divertente e fluido, ma allo stesso tempo anche assolutamente indifferente ad un qualsiasi tentativo di affrancarsi dai propri modelli e dalle caratteristiche peculiari che li caratterizzano.
Un lavoro ben suonato e cantato (molto adeguate le vocals ruvide di Tom Fisher) e ottimamente prodotto da Achim Kohler (Primal Fear, Sinner), ma veramente molto (forse troppo) prevedibile ed omogeneo per poter fare la differenza in un mercato del disco così notevolmente “trafficato”.
Tenute in debito conto queste premesse, l’opener “Can stay in hell”, non faticherà, nonostante tutto, ad attrarre i fans dell’hard sincero senza troppi fronzoli e buone sensazioni sono garantite anche dalle melodie catchy di “Secret garden” e “Sabrina”, dall’ardore boogie ’n’ roll di “Get it live!”, dalle piacevoli “Gotta leave your mama” e “Dark city”, dove gli australiani più influenti del rock e, in generale, il loro seminale stile, vengono omaggiati in modo evidente e con l’opportuna dovizia.
Meno convincenti lo slow-blues “Yesterday”, le più anonime “Steal my baby” e “Save me”, con quest’ultima che, dopo qualche minuto di silenzio, conduce ad una ghost track unplugged anch’essa abbastanza trascurabile.
In ultima analisi si tratta, quindi, di un dischetto da consigliare a chi apprezza questo tipo di musica eseguita con genuinità, competenza e predisposizione al genere e che non considera l’atteggiamento di scrupoloso dogmatismo come un difetto significativo per una serie di microsolchi digitali.
Recensione a cura di Marco Aimasso

Ultime opinioni dei lettori

Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?

Ultimi commenti dei lettori

Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?
Queste informazioni possono essere state inserite da utenti in maniera non controllata. Lo staff di Metal.it non si assume alcuna responsabilità riguardante la loro validità o correttezza.