Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2015
Durata:49 min.
Etichetta:Power Prog

Tracklist

  1. OVERTURE
  2. INSIDER
  3. STOP THE TIME
  4. THE WAR BETWEEN US
  5. LEVEL COMPLETE
  6. MILLION MILES AWAY
  7. VICTORIA
  8. AQUALAND
  9. COMFORT ME
  10. AFFLICTION
  11. NEVER SAY GOODBYE

Line up

  • Alexander Chumakov: vocals, violin, keyboards
  • Anton Emelyanov: guitar
  • Misha Gigava: bass
  • Sergey Krasnozhen: drums

Voto medio utenti

Non ho avuto modo di ascoltare la prima fatica discografica dei russi Overwind (uscita poco più di un anno fa), per cui mi accingo a parlare di questo album con orecchio, per così dire, "vergine". La prima cosa che balza all'occhio, oltre a una copertina a mio avviso discutibile, è la lista degli ospiti, che annovera il caro e vecchio Peavy Wagner (fondatore dei Rage, nella godibile "Million Miles Away"), Victor Smolski (ex-Rage, nella ruffianissima "Stop The Time"), Tim "Ripper" Owens (ex-Judas Priest, sempre in "Stop The Time") e il "nostro" Marco Sfogli (famoso per la sua collaborazione di lunga data con James LaBrie e da poco entrato in pianta stabile nella PFM per sostituire il dimissionario Franco Mussida, nella più elaborata "Aqualand"). "Level Complete" dovrebbe essere un album di "modern heavy metal with elements of art and progressive rock (cit.)" e, obiettivamente, la definizione nel complesso calza: la proposta è quadrata (domina la forma canzone e il minutaggio contenuto), decisamente melodica (peccato per il cantante non sempre all'altezza, poco convincente quando cerca di essere "cattivo" e ancora meno credibile quando spinge sul registro acuto, per cui Dio benedica l'apporto di Wagner e Owens), prevalentemente "guitar-driven" (nonostante gli innesti elettronici e/o sinfonici). A parte le perplessità espresse rispetto alla prestazione dietro al microfono di Chumakov, qualche ingenuità come l'inutile introduzione pseudo-sinfonica (dall'originalissimo titolo "Overture") e i testi a tratti quasi imbarazzanti (cito giusto un verso di memoria "marzulliana": "I'm getting deep inside/You care for be yourself/I’m getting deep inside/I’ll lead you to myself") abbassano la valutazione complessiva di un lavoro comunque discreto che probabilmente non cambierà la storia del nostro genere preferito ma ha sicuramente i numeri per competere alla pari con nomi magari più noti ma con il fiato sempre più corto a causa dell'inevitabile passare del tempo (penso ai Royal Hunt). Menzione speciale per la continuità della band: due full-length in due anni non si sentono poi così spesso.
Recensione a cura di Gabriele Marangoni

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