Copertina 6,5

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2015
Durata:41 min.
Etichetta:Temple of Torturous

Tracklist

  1. AURORA
  2. VIGIL
  3. SPORELIGHTS
  4. WAR
  5. TECTONIC CELLS
  6. ASLEEP IN LAYERS
  7. DAWN OF AGES

Line up

  • César Márquez: vocals, guitars, synths
  • Nikolas Recabarren: drums
  • Juan Díaz: bass
  • Edgardo González: synths

Voto medio utenti

Al Cile vanno senz’altro riconosciute tante belle qualità: è fresco trionfatore in Coppa America, esporta ottimi vini rossi, vanta un sacco di vulcani e la splendida Isola di Pasqua, oltre ad essere, se non erro, il paese più “lungo” al mondo.
Se invece parliamo di heavy metal, ahimè, le cose si fanno più grigie…

Spulciando negli archivi si possono rinvenire i soliti, adorabili moniker di band slam/brutal -alcuni esempi: Urogenital Macrophage, Vomit Devourer, Scrotum Death, Purulent Mutation, Anal Flesh, Vaginal Suppuration…-; oltre a ciò, ricordo un buon album dei deathsters Nar Mattaru rilasciato alcuni anni fa, e di certo mi sta sfuggendo qualche nome interessante.
Fatto sta che, comunque la si voglia girare, non si discute certo di una delle lande che più ha dato al nostro genere favorito.

Non credo che la situazione sia destinata a migliorare sensibilmente nei prossimi anni; ciò non toglie che, di quando in quando, la patria di Pablo Neruda abbia il sacrosanto diritto di battere un colpo per dimostrare che c’è del buono nella sua scena underground.
Ecco: quest’oggi battono un colpo i Bauda, a me del tutto ignoti sino a cinque giorni orsono. Tuttavia, non parliamo affatto di pivellini alle prime armi, bensì di una compagine che ha ormai celebrato il decimo genetliaco, già autrice di due full length e da qualche tempo divenuta band a tutti gli effetti, dopo che il mastermind e membro fondatore Bauda -per l’appunto- ha deciso di dividere onori ed oneri con due simpatici colleghi.

Spinto dal mio insopprimibile senso del dovere (?) e da alcune buone recensioni scovate in giro per il web ho deciso, piuttosto che gettarmi ex abrupto sul più attuale “Sporelights”, di andar per gradi e recuperare il predecessore: “Euphoria...of Flesh, Men and the Great Escape”, rilasciato nel 2012.
La mia si è rivelata una saggia scelta visto che, con ogni probabilità, i Nostri mi piacevano più prima.
Ma non precipitiamo le cose: andiamo per gradi.

Un avvertimento: narriamo quest’oggi di una band nient’affatto semplice da catalogare, tante sono le sfaccettature rinvenibili fra le pieghe del sound. Nel full precedente si avvertivano echi progressive, tentazioni indie, digressioni post rock e atmosfere dal retrogusto shoegaze. Il tutto, si badi, veniva fuso in modo molto spontaneo, e proprio questa organicità nella mescolanza, tesa alla costruzione di un impianto sonoro nostalgico ed evocativo, costituiva l’elemento di maggior pregio nel platter.

In occasione del terzo album, i Bauda hanno deciso di aggiungere una patina di dark dal taglio vagamente elettronico. Di per sé nulla di male… ma spesso colui che aggiunge, in realtà, sottrae.
Dopo questo aforisma di bassissima lega -oh, non son mica Lord Henry Wotton de Il Ritratto di Dorian Gray!- provo a spiegarmi: trovo che l’incameramento di questa ulteriore influenza abbia finito per svilire l’organicità e la portata emotiva delle composizioni. La proposta dei Bauda si è fatta più definita e concisa, certo, ma anche più algida.
Non una transazione impeccabile, per quel che mi riguarda.

Un input decisivo, sotto questo profilo, l’ha apportato René Rutten, biondo chitarrista che i più conosceranno per la militanza negli ottimi The Gathering, e che qui veste i panni di producer e mentore: ebbene, pur notandosi chiari passi avanti in termini di stretta professionalità, temo si siano smarriti per strada il calore e il colore che contraddistinguevano la musica dei Nostri.

Il songwriting si assesta su livelli discreti, con canzoni perlopiù ariose e ben strutturate -sui 6-7 minuti di durata media-, in cui fanno capolino echi di Anathema (il crescendo di “War” parla chiaro), Antimatter, Porcupine Tree, stessi The Gathering e… Coldplay (nella conclusiva “Dawn of Ages” li ho percepiti piuttosto chiaramente).
Fra gli highlights inserirei senz’altro “Tectonic Cells”, strumentale colma di suggestive melodie, la title track, dotata di una imponente progressione, e “Vigil”, che parte con eccessiva timidezza ma si scuote in un finale torrenziale.

"Sporelights", l’avrete capito, rimane comunque un’opera interessante, ben suonata e ricca di spunti; tuttavia, ritengo che la svolta intrapresa non si sia rivelata del tutto efficace.
Gli amanti delle sonorità più intime e soffuse gli diano comunque un ascolto; gli altri virino senza indugio sugli Scrotum Death
Recensione a cura di Marco Cafo Caforio

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