Copertina 8

Info

Anno di uscita:2015
Durata:40 min.
Etichetta:Cruz del Sur Music

Tracklist

  1. CREATION
  2. THE LORD OF THE MORNING
  3. OSIRIS
  4. HORUS THE AVENGER
  5. ANUBIS
  6. SOBEK
  7. SLAYING APOPHIS
  8. DESTRUCTION

Line up

  • Abraxas: vocals
  • Baphomet: guitar
  • Patriark: guitar
  • Akoman: bass
  • Grimmdun: drums

Voto medio utenti

I Candlemass rappresentano da sempre uno dei miei punti fermi in campo musicale e in particolar modo il loro "Tales Of Creation" ha avuto sempre un posto speciale nel mio cuore d’acciaio. Quelle melodie nordiche e gelide, quell’essere doom senza essere per forza ossessivo e quella favolosa vera epicità lo rendeva portatore di un’atmosfera unica, fino ad oggi mai più bissata da nessun altro. Fino ad oggi. Si perché i Norvegesi Magister Templi, al loro secondo lavoro per Cruz del Sur Music, se ne escono con questo "Into Duat" e l’impressione è che si siano di molto avvicinati all’opera dei Candlemass. Ovviamente SOLO avvicinati. Il disco è una specie di concept su tutte le divinità egiziane dell’oltretomba (appunto il Duat), dalla loro creazione alla loro completa distruzione. Si compone di 8 pezzi anche se in realtà sono 7 le canzoni, visto che la prima e l’ultima hanno la particolarità di essere una la continuazione dell’altra come un’ipotetica chiusura del cerchio.
Play. Appare "Creation". Subito si ha la sensazione di un doom/epic metal non di pragmatica, lento o ossessivo ma molto agile e vario che non disdegna frequenti accelerazioni, però la sensazione di “doom” ne pervade ogni singola nota, in particolare ci colpisce l’uso delle chitarre molto vario sia nei riffs che nel dettare melodie per nulla scontate. A guidare le danze la particolarissima voce di Abraxas d’Ruckus, che chiariamo subito NON è Messiah Marcolin anche se nelle parti più basse il timbro è simile, non ne possiede l’estensione vocale e la profondità espressiva, però la sua voce a volte pulita e volte grezza e rozza fa un lavoro veramente ottimo. Ma ritorniamo a "Creation" perché il pezzo è di quelli che meritano, ritmi sincopati chitarre epiche e taglienti e una linea melodica che dire vincente è veramente poco. Un piccolo capolavoro. La successiva "Lord Of the Morning" la bissa alla grande con una maggiore propensione alla velocità e un ritornello un po’ zeppeliniano, anche questo veramente riuscito. Altre hilights del disco sono la bellissima "Horus The Avenger" che potremmo avvicinare ad una “Dark Reflections” tale è il suo avvicinamento a certo power adulto e originale, mentre probabilmente il top assoluto lo troviamo con "Slaying Apophis", epica, trascinante all’inverosimile, quasi di matrice Helstar (soprattutto nell’uso tagliente delle chitarre), quelli di "A Distant Thunder", con un Abraxas in grado di districarsi in maniera eccellente anche nei registri più alti. Forse invece si poteva fare un lavoro migliore con "Anubis" dove troviamo grandi idee che però si ha l’impressione non siano state applicate nel modo giusto soprattutto a livello di produzione, leggermente diversa dallo standard del resto dell’album, ma anche in un certo modo confusionale di gestire il ritornello e la parte veloce finale, veramente un peccato perché l’intuizione scrittoria era simile a quella che creò il capolavoro assoluto “Into the Unfathomed Tower”. Molto interessante al contrario la costruzione di "Sobek", dove il riffing secco e deciso ma vario la fà da padrone creando il preludio migliore all’incedere del ritornello breve, ma molto incisivo, una vera e propria stilettata. Il disco chiude con "Destruction" che dicevamo rappresenta l’ideale epilogo di "Creation" dove nella suggestiva e pacata conclusione i nostri trovano il modo anche di omaggiare un po’ i Maiden di “Rime Of The Ancient Mariner”, creando una parte atmosferica molto simile, con la chitarra solista che sigilla intensamente ed egregiamente tutto il platter poco prima della deflagrazione definitiva.
Quindi dietro la fantastica cover di Stefan Bleyl si nasconde un bellissimo disco che ci riporta verso territori mistici e antichi, verso affascinanti miti ancora attualissimi e che suona sincero, vero come questo tipo di metal deve continuare a fare. Se avete voglia di tornare al 1989, là dove i Candlemass scrivevano il loro quarto capolavoro, ora avete un ponte temporale in questo "Into Duat", che aspira a farvi tornare indietro con la vostra mente a cercare e trovare ancora una volta quei magici suoni. Sostenete queste sonorità, sono la linfa della nostra musica preferita.

A cura di Andrea "Polimar" Silvestri

Recensione a cura di Ghost Writer

Ultime opinioni dei lettori

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 22 set 2015 alle 10:19

bella recensione come sempre,bravo Andrea. ma anche io come Frank non ho apprezzato molto il cantante...passo...

Inserito il 18 set 2015 alle 14:44

Allora per fortuna che questa volta non l'ho paragonato a David Byron :-) Io sono già contento che hai dato una chance al disco.

Inserito il 18 set 2015 alle 14:35

Bella rece Poly ma l'album non mi è proprio piaciuto. Musicalmente ci siamo ma trovo inascoltabile la voce, a tratti realmente irritante, non riesco quindi ad apprezzare il disco. Naturalmente si tratta di una cosa soggettiva, penso tuttavia possa essere un elemento di divisione.

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