Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2005
Durata:non disponibile
Etichetta:Southern Lord
Distribuzione:Wide

Tracklist

  1. CARNAGE FUCKING CARNAGE
  2. THE WOLF
  3. ENEMY OF GODS
  4. DEMON SERPENT
  5. BURNING TEMPLE
  6. LION KILLER

Line up

  • Steven Rathbone: guitar, vocals
  • Donald James Barraca: bass
  • Larry Herwig: drums

Voto medio utenti

Era ovvio che prima o poi sarebbe successo. Dopo anni durante i quali l’heavy metal ha gradualmente perso il suo iniziale significato di genere unitario e riconoscibile, frazionandosi in una pletora di filoni indipendenti dove ognuno coltiva la propria nicchia di appassionati, era prevedibile che in un dato momento qualcuno dei ragazzi cresciuti con il mito del “pure heavy metal” primi ’80, della fratellanza metallica vera o falsa che fosse, della rabbia metal e del “no compromise”, avrebbe cercato di riannodare i fili di un discorso ormai troppo dispersivo.
Ci sono stati vari tentativi nei tempi recenti, ma casi sporadici ed isolati che non hanno offerto l’idea di una continuità dell’iniziativa. Ma la sensazione è che ora le cose stiano cambiando, ed il tentativo di riportare questa musica alla sua identità originaria stia prendendo consistenza, stia assumendo le forme di una filosofia se non ancora di un movimento vero e proprio.
Questa ventata restauratrice, per ora una brezza ma chissà non diventi uragano, arriva da dove probabilmente nessuno l’aspettava. Da quell’area magmatica ed indeterminata che per convenzione, comodità e parecchia superficialità, è stata accorpata allo stoner, ma che con lo stoner inteso come desert-rock, psych-rock, retrò-hard, ecc, non ha assolutamente nulla da spartire. Casomai esiste qualche affinità nel totale rifiuto delle regole attuali, nel fastidio per le barriere che delimitano i confini stilistici, nella genuinità ruspante delle loro proposte e nel piacere di guardare al passato con orgoglio e senza vergogna. Li collega un’attitudine, non un’uniforme da indossare.
Questa zona d’ombra che anch’io talvolta ho sbrigativamente definito “ala dura dello stoner”, si sta furtivamente impossessando della semplice indicazione di heavy metal nudo e crudo, evitando quanto più possibile anche il prefisso “neo” che potrebbe generare confusione con quel nu-metal che doveva cambiare il mondo ma si è perso dietro le ambizioni mainstream e le illusioni di plastica.
Qualcuno si starà chiedendo perché non parlare del disco senza tante storie.
Perché l’esordio dei Lair of the Minotaur, che tra parentesi mi è arrivato in versione incompleta e scarna a livelli draconiani, nel discorso generale ha importanza relativa. E’ soltanto l’esempio più recente dei segnali di un atteso risveglio, di un metal che prova a scrollarsi di dosso le troppe zavorre che lo hanno imbolsito, del rinnovarsi di uno spirito grezzo, violento, primitivo, oscuro e temibile, che aveva fatto di questa musica un’entità minacciosa e bellicosa, diversa da ogni altra perché su basi chiaramente riconoscibili creava un senso di appartenenza unico.
Formazioni come Mastodon, High on Fire, Alabama Thunderpussy, Axehandle, ora i Lair of the Minotaur, ed altri ne verranno dal sottobosco in fermento, hanno dimostrato che non occorreva inventare niente di nuovo perchè tutto il necessario era già a disposizione. Estrarre il meglio dal passato e riadattarlo con l’esperienza odierna, con la malizia di oltre vent’anni di storia del metal.
Niente bizzarre contaminazioni, un semplice cocktail di classicismo heavy (Motorhead, Venom, B.O.C., Celtic Frost, ecc.), oscura pesantezza doom (da Black Sabbath in poi..), feroce aggressività thrash (Slayer e analoghi), con qualche spruzzata accessoria a piacere (death, hardcore, grind, sludge), una sorta d’inventario delle correnti più sanguigne e violente per dare una scossa d’energia e vitalità al caro vecchio metal, che tanti hanno voluto trasformare in una faccenda per famiglie con nonni e nipoti a carico, o per aristocratici snob, o ancora per classifiche da supermarket.
Per chi ha avuto pazienza diciamo che in “Carnage” trovate le caratteristiche descritte poc’anzi, espresse con caotica brutalità. Fasi ultra-heavy seguite da blast beats seguite da rallentamenti mammoth seguite da mitragliate thrash condite da urla selvagge o rantoli hardcore. C’è confusione, spesso carenza di un filo logico nei brani, manca la struttura lineare mutuata dall’hard che gente più esperta come i Mastodon ha già adottato, ma episodi come “The wolf” o “Demon serpent” rispolverano il fiero spirito barbarico che un tempo era la regola, non l’eccezione. Come gli High on Fire, i LotM nei loro testi parlano di antiche mitologie, apocalittiche battaglie, eroi invincibili e carneficine epocali, il sangue e la gloria che molti considerano temi “ignoranti” ma che erano citati sovente nei capolavori passati.
Il trio di Chicago, formato da due ex-7000 Dying Rats e dal batterista dei Pelican, deve ancora mettere a fuoco il proprio impatto viscerale, ma già così sembra più “heavy” e più “metal” di buona parte di ciò che si sente in giro. Un album per chi ascolta gli Entombed e i Napalm Death, i Porn e i primi Voivod, i Sepultura e gli Electric Wizard, una musica che anche il più isolato degli eremiti può identificare al primo istante come heavy metal.

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