Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2005
Durata:50 min.
Etichetta:Threeman
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. EVERYTHING I SEE
  2. I’LL NEVER WEEP
  3. BROKEN HOOF
  4. DRUNKING ON A PILE OF SKULLS
  5. FENRIR
  6. RAISING THE MAMMOTH
  7. IMPOSE MY WILL
  8. SACRAMENT OF THE SICK
  9. ECLIPSE
  10. BORN TOO LATE

Line up

  • Dan Soren: vocals
  • Minnesota Pete Campbell: lead guitar
  • Erik Larson: guitar
  • Dinis DeCarvalho: bass
  • Andy Campbell: drums

Voto medio utenti

Quando ho realizzato che i Mighty Nimbus erano un progetto al quale partecipavano membri di Sixty Watt Shaman ed Alabama Thunderpussy, ho smosso ogni mia conoscenza (una..) per ottenerlo ad ogni costo.
Seguo il gruppo di Richmond fin dai primissimi esordi, quando in Europa non se li filava nessuno ed il loro contratto con la Relapse era un miraggio lontano. Da “Rise again” (Man’s Ruin,’98) in avanti ho collezionato ogni loro realizzazione, compresi i vari progetti solistici e paralleli, senza farmi mancare nulla. Dall’altro lato, se in Italia esistesse un fan-club degli Shaman credo meriterei di esserne il presidente. A differenza di tanti esperti illuminati, li ho sempre considerati ben al di sopra della media in campo heavy southern/stoner, inoltre ritengo il loro “Seed of decades” (Spitfire,’00) uno dei migliori dischi ascoltati negli ultimi anni. Un gruppo che apprezzo e stimo in modo particolare.
Questo lungo e stucchevole preambolo serviva a rendere l’idea della sensazione di urgenza, interesse, eccitazione, speranza e golosità collezionistica con la quale mi sono avvicinato a quest’album, non avendo ancora imparato a rifugiarmi dietro quella maschera di schifato snobismo tanto diffusa al giorno d’oggi.
Parole, parole, per ritardare l’amarezza di un’inevitabile conclusione: questo debutto è parecchio inferiore alle mie attese.
In senso generale è un discreto prodotto, dove l’impronta pilota è quella dei S.W.S. mentre le coordinate Alabama rappresentate dal solito Erik Larson brillano per la loro assenza. Ed è proprio questo che mi provoca maggior delusione, essendo fortemente legato al fenomenale groove della band di Baltimora, micidiale alchimia di boogie rock, metal, stoner, southern blues, vocals ustionanti e mirabile acutezza melodica. Ritrovare alcune di queste caratteristiche soffocate in un nero oceano di magma heavy-doom mi ha decisamente spiazzato, pur comprendendo un cambiamento di rotta forse inevitabile visto l’attuale momento d’oro per i macigni oscuri negli States.
Ma il giudizio non si basa solo su illusioni e concetti personali, dopo la buona partenza quest’album stenta realmente a decollare. Tanti bei riffs ultradistorti, suoni saturi, cascate di ritmiche fangose, una costante atmosfera malata ed apocalittica, vocals piene di sofferenza, impietosa ed asfissiante pesantezza metallica, ma con il procedere del disco le canzoni troppo spesso scivolano in un impatto elefantiaco, statico, troppo uniforme, una muscolarità oscura e battagliera ma anonima, arrivando fino ad una “Sacrament of the sick” dove il dotato Dan Soren si riduce ad esprimersi con un growl da picchiatore di periferia e ad una cover di “Born too late” dei St.Vitus in piena fregola sludge sul genere Cavity o Slow Horse, gente più che onesta ma che non vanta la brillantezza tra i suoi pregi migliori.
E dire che la parte iniziale del lavoro lanciava chiari segnali positivi, ad esempio l’ottima “Everything I see” simile ad un incrocio tra i Crowbar ed i Roachpowder. Qui il marchio Shaman viene abilmente rivoltato verso il crushing-doom, quasi a gettare un ponte tra passato e futuro per annunciare la nuova logica direzione. Stesso discorso per la successiva ed ancora buona “I’ll never weep”, lenta e massiccia, vibrante di violenza plumbea, ed aggiungiamo anche “Imposing my will” che rieccheggia i temi più truci dei Down, mentre il resto si attesta su una media dignitosa ma con poco slancio creativo ed ancor meno freschezza d’idee.
Se sono vere le voci dello scioglimento dei Sixty Watt Shaman e se i The Mighty Nimbus ne rappresentano l’eredità, a mio avviso nel cambio rischiamo di perdere parecchio. Pur contando su futuri miglioramenti ed assestamenti, formazioni che propongono questo tipo di doom ultra-heavy ne abbiamo già a bizzeffe, molte delle quali più ispirate o estreme. Lasciando da parte le elucubrazioni del sottoscritto, un esordio che supera di poco la sufficienza.

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