Copertina 7

Info

Anno di uscita:2014
Durata:43 min.
Etichetta:Van Records

Tracklist

  1. AT THE CRACK OF DAWN
  2. ROLLER-COASTER RIDE
  3. GIRL IN HEAT
  4. CATCH-22
  5. IN THE DEAD OF NIGHT
  6. LOST IN DISCOTHEQUES
  7. WALKING ON TIGHTROPE
  8. LIGHT MY DYNAMITE
  9. ON AND ON
  10. SECRET DANCER
  11. SWEET GOODBYE

Line up

  • Jochem Jonkman: vocals, bass
  • Willem Verbuyst: guitars
  • Barry van Esbroek: drums

Voto medio utenti

Ho conosciuto i Vanderbuyst alla “vecchia maniera”, vedendoli dal vivo come supporting band per i più noti (e forse leggermente “sopravvalutati”) Enforcer e Skull Fist.
Ho così “scoperto” tutte le importanti qualità di un gruppo molto schietto e genuino, concentrato nella sua devozione per i “classici” (UFO, Thin Lizzy, Van Halen e Diamond Head, soprattutto), privo di velleità artistiche “destabilizzanti”, eppure talmente competente e autentico nella sua sanguigna passionalità da rendere credibile e coinvolgente l’intera opera di “rivisitazione”.
Le stesse percezioni, poi, le ho puntualmente ritrovate nei loro primi tre full-length in studio (che mi sono premurato di recuperare prontamente …) e pure in questo nuovo “At the crack of dawn” che non smentisce la stima conquistata “sul campo” rivelandosi un prodotto assai godibile e abbastanza ispirato sotto il profilo compositivo, suonato con l’energia e l’attitudine necessarie a non scadere nella “parodia”.
Prendete la title-track e “Roller-coaster ride”, il tocco sleaze delle adescanti “Girl in heat” e “Secret dancer”, aggiungetele all’ultra-catchy “Lost in discotheques” (con una struttura armonica un po’ alla “Edge of seventeen” di Stevie Nicks!), al tiro di “Walking on tightrope” e “Light my dynamite” e ai bagliori sixties di “On and on” e “Sweet goodbye” e otterrete un disco edificato sulla “storia” del genere e sul talento naturale di un terzetto olandese che dimostra di saperla “raccontare” per l’ennesima volta senza annoiare.
Forse, a ben ascoltare, il sound di “At the crack of dawn” è leggermente più “pulito” di quello dei suoi predecessori, finendo così per far perdere al quadro complessivo un pizzico di quella viscerale forza espressiva che tanto mi aveva attratto, ma se in tempi di diffuso revival si riesce, come fanno i nostri, a distinguersi comunque per freschezza e brillantezza, beh, direi che l’obiettivo primario può considerarsi raggiunto.
Alla fine, tutta la “vicenda” m’induce a concedermi un piccolo suggerimento … senza dimenticare le immense potenzialità “divulgative” della Rete, in qualche occasione provate a prendervi qualche “rischio”, accordando la possibilità a formazioni “sconosciute” di mostrarvi le loro virtù sulle assi di un palco … potreste avere delle piacevolissime sorprese, proprio come sono stati per il sottoscritto questi valorosi Flying Dutchmen.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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