Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2013
Durata:43 min.

Tracklist

  1. GUNS! GUNS! GUNS!
  2. THE BORDER
  3. OZONE FADES
  4. GODSPEED
  5. NUCLEAR WARFARE
  6. PHARAOH
  7. BLACK CENTURY
  8. UHLANS, 1915
  9. ROCK BEAST
  10. MY HEAVEN

Line up

  • Enrico Ghirelli: vocals
  • Luca Occhi: guitars, backing vocals
  • Matia Catozzi: guitars
  • Andrea Rambelli: bass, backing vocals
  • Marcello Danieli: drums

Voto medio utenti

Arrivano “furtivi” alla nostra gloriosa attenzione (“Shores of hope” è, in realtà, del 2013) grazie alla sempre vigile attività promozionale dell’Atomic Stuff e diciamo subito che sarebbe un peccato se, facendo fede al loro monicker, questi ragazzi ferraresi finissero per passare inosservati nel pur congestionato panorama musicale underground.
E questo non perché il loro disco d’esordio sia straordinariamente “creativo” o “rivoluzionario”, ma semplicemente perché riesce comunque a distinguersi per intensità espressiva, freschezza e buone doti di scrittura.
Muovendosi con sagacia tra street, hard-rock, metal e bagliori alternative, gli Stealth propongono un full-length piuttosto piacevole, adatto agli estimatori di Skid Row, Guns n’ Roses, Metallica, Brides of Destruction e Hinder, che nei solchi del Cd ritroveranno con una certa facilità tracce dei loro beniamini, senza per questo vederli trattati con eccessiva deferenza o forme di sterile contraffazione.
Il programma non è esente da qualche ingenuità e da un vago senso complessivo di “incompiutezza” e tuttavia piace il gusto con cui la “materia” viene sviscerata, ostentando una duttilità stilistica che consente alla band di spostarsi lungo i “confini” dei generi mantenendo una discreta omogeneità e compattezza interpretativa.
In un quadro artistico di livello medio abbastanza soddisfacente, una doverosa menzione se la guadagnano “Guns! Guns! Guns!”, un anthem schietto e diretto, il groove cupo e grungiarolo di “Ozone fades” e l’approccio radiofonico di “Godspeed”, mentre impressionano ancora di più le poderose contaminazioni di “Pharaoh”, la melodia fascinosa di “Black century” (con qualcosa degli Scorpions nell’impasto!) e le suggestive progressioni armoniche di “Uhlans, 1915”.
La vera sorpresa dell’album, poi, si chiama “Rock beast”, un interessante tentativo di coniugare la disinvoltura degli anni ’80 con la fisicità del terzo millennio che, sebbene bisognoso di maggiore fluidità e focalizzazione, indica un percorso meritevole di ulteriori approfondimenti.
Il lavoro da fare, per puntare davvero in “alto”, è ancora parecchio, e ciononostante i segnali per allertare i radar dei musicofili più attenti sono già consistenti e visibili.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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