Iommi - The 1996 Dep Sessions With Glenn Hughes

Copertina 6

Info

Anno di uscita:2004
Durata:38 min.
Etichetta:Mayan
Distribuzione:Edel

Tracklist

  1. GONE
  2. FROM ANOTHER WORLD
  3. DON'T YOU TELL ME
  4. DON'T DRAG THE RIVER
  5. FINE
  6. TIME IS THE HEALER
  7. I'M NOT THE SAME MAN
  8. IT FALLS THROUGHT ME

Line up

  • Tony Iommi: guitars
  • Glenn Hughes: vocals, bass
  • Dave Holland: drums
  • Don Airey: keyboards

Voto medio utenti

Così è scorretto. Tony Iommi così è scorretto. Che senso ha fare un progetto solista (secondo per il Cerimoniere dei Sabba) rubando a se stesso quello che fino ad ora ha sempre fatto? È probabile che molti di voi ora si staranno chiedendo perché questo blasfemo parla (cioè io…) scrive queste cose… semplice, perché non riesco a sopportare l’idea che questo dischetto suoni esattamente come Black Sabbath che furono, semplicemente perché Iommi ha deciso di copiarsi senza troppa fantasia. Ed ora passiamo a Hughes. La magnifica voce del cantante… INGLESE??? Esce allo scoperto solo alla fine dell’album, giochicchiando nelle prime 5 songs, per poi mettere il turbo e trasmettere il calore ed il colore classico del proprio marchio di fabbrica, in ‘Time Is The Healer’, ‘I’m Not The Same Man’ e sulla conclusiva ‘It Falls Throught Me’, innalzando il livello qualitativo del lavoro, facendolo arrivare alla sufficienza, altrimenti neanche vista con il binocolo! Lasciando da parte la produzione (l’album sembra prodotto al risparmio – e penso che Dave Holland non abbia mai avuto dei suoni così scadenti dietro le pelli), questo dischetto farà felici i nostalgici del riffing “Old School” dei Black Sabbath (fine periodo Ozzy, Dio e Martin), ma non aspettatevi nulla che avete già sentito, milioni e milioni di volte. Forse uno dei segreti nel cassetto di Iommi è sempre stato quello di riavere Glenn Hughes nei Black Sabbath, proprio come nel periodo di ‘7th Star’ e questo ‘1996 Deep Session With Glenn Hughes’ è stata l’occasione giusta per togliersi quel sassolino nella scarpa che da tanti anni spinge sotto il ditone. Nonostante i nomi, troppo poco. Anche in fase di Jam Session.
Recensione a cura di Massimo 'Whora' Pirazzoli

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