Copertina 7

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2013
Durata:54 min.
Etichetta:Nuclear Blast

Tracklist

  1. KINGBORN
  2. MINOTAUR (WRATH OF POSEIDON)
  3. ELEGY
  4. TOWARDS THE SUN
  5. WARPLEDGE
  6. PATHFINDER
  7. THE FALL OF ASTERION
  8. PROLOGUE
  9. EPILOGUE
  10. UNDER BLACK SAILS
  11. LABYRINTH

Line up

  • Paolo Rossi: bass, vocals (clean)
  • Francesco Paoli: drums
  • Cristiano Trionfera: guitars, vocals (backing), orchestral arrangements
  • Tommaso Riccardi: vocals (lead), guitars
  • Francesco Ferrini : piano, orchestration

Voto medio utenti

Dopo il primo e bellissimo Oracles uscito nel 2009 a base di brutal death tecnico, seguito dall'esaltante EP Mafia, i Fleshgod Apocalypse hanno deciso di modificare via via la loro proposta, arrivando a questo ultimo Labirinth con il gravoso compito di convincere il pubblico sul loro nuovo corso.

Premo il tasto play e vengo catapultato in un teatro della brutalità dove va in scena una pièce che finalmente riesce ad unire in modo davvero lodevole arrangiamenti di musica classica col muro sonoro che sanno innalzare gli italiani. Il precedente Agony non mi aveva infatti entusiasmato, la prima occasione dei Nostri su una grande label come la Nuclear Blast aveva creato un disco iperprodotto in cui l'elemento sinfonico era un po' pacchiano e parzialmente slegato degli strumenti tradizionali, con una grande penalizzazione per le chitarre, appena udibili.

Ora la storia cambia, le chitarre ci sono eccome, con un interessante vena melodica anche, che in più occasioni come nell'opener Kingborn o in The fall of asterion o ancora Warpledge, salta fuori "alleggerendo" i brani senza scalfirne la furia devastante. Risulta un po' ridondante la presenza costante di cori operistici sotto le canzoni, anche se queste rimangono di qualità elevata e non mancano certo di spunti creativi. Ascoltando tutto il lavoro con un impianto adeguato e al giusto volume, sembra realmente di vedere la band sul palco con l'orchestra. E qui va lodato anche il lavoro svolto in studio da Stefano Morabito. Anche la scelta delle vocals è apprezzabile, il classico growl death metal, sempre comprensibile, viene tal volta doppiato o alternato ad un cantato pulito acuto o più greve (opera del bassista Paolo Rossi) che crea una buona alternanza. In altre occasioni come in Prologue viene anche inserita una voce principale femminile operistica che aumenta ancora il livello di teatralità. I riff assassini e tecnici sono un po' limitati, a favore di una maggiore linearità richiesta dagli arrangiamenti, presenti invece feroci blast beat e un drumming velocissimo, il tutto integrato bene col resto del pomposo sound sinfonico. Curiosità, lo storico membro Francesco Paoli da questo album si occupa solo della batteria, dopo essere stato cantante e chitarrista nei precedenti dischi. Le tastiere, che si erano ritagliate uno spazio forse eccessivo nel precedente capitolo, ora sono al posto giusto e la grande abilità di Francesco Ferrini come musicista è stata sfruttata maggiormente per creare orchestrazioni ed arrangiamenti, piuttosto che esibirsi sui tasti. Queste orchestrazioni sono state scritte assieme a Cristiano Trionfera che si dimostra musicista preparato oltre che con la sua chitarra, con cui costruisce epici assoli, anche con gli strumenti classici.

Non nascondo di essere uscito provato da questo ascolto, in cui la pioggia di note creata si trasforma presto in una tempesta nella quale occorre la giusta attenzione ed allenamento per non farsi trascinare via. Avrei forse inserito dopo 3-4 pezzi un brano più "semplice", senza eccessivi elementi sinfonici o anche solamente più lento per dare il tempo di riprendersi, come una pausa tra gli atti. È stato fatto all'ottava canzone con la breve Prologue e la successiva Epilogue, prima del gran finale, ma ormai eravamo già stati sepolti da 35 minuti di note. Le prime 7 canzoni infatti, sembrano un unico brano che procede senza sosta variando solo di umore o atmosfera. Resta comunque una mia opinione che non inficia il grande lavoro di composizione e arrangiamento che è stato fatto.

L' importante rilevanza che questa band italiana ha saputo ottenere a livello internazionale è assolutamente meritata e figlia di un duro lavoro e di una notevole abilità, non certo di un trend passeggero. C'è chi continua a preferire i primi lavori, più crudi e con orchestrazioni molto meno pressanti (io sono tra questi), ma un grandissimo passo avanti è stato fatto dal precedente Agony forgiando (definitivamente?) il loro symphonic death metal, che può anche non piacere, ma è il suono che i Fleshgod Apocalypse hanno deciso di portare avanti. A chi è piaciuto il succitato disco di due anni fa, può tranquillamente aggiungere un punto al giudizio finale.
Gli spettatori possono quindi applaudire e godersi quante repliche vogliono di questo Labyrinth, attendendo già il nuovo spettacolo.

Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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