Copertina 8

Info

Anno di uscita:2011
Durata:54 min.
Etichetta:ProgRock Records

Tracklist

  1. RAIN
  2. NEVER TRUST A SNAKE
  3. DESERT SUN
  4. FREE
  5. EXPERIENCE THIS
  6. CAN'T FIND
  7. MAKE ME FAMOUS
  8. WALLS
  9. PIECES
  10. MY OWN VISION
  11. INSECURE
  12. QUIT WITHOUT SAVING

Line up

  • Sandor Kallai: bass
  • Attila Tanczer: keyboards, additional sampling
  • Tamas Szabo: drums
  • Ferenc Farkas: guitar
  • Matyas Haraszti: vocals, acoustic guitar
  • Csilla Gáspár: guest on cello in “Free” and “Quit Without Saving”
  • Bence Temesvári: guest on violin in “Free” and “Quit Without Saving”
  • Péter Schrott: guest on backing vocals in “Never Trust a Snake”

Voto medio utenti

Sempre più spesso l’analisi del lavoro di una formazione dedita al prog-metal si riduce sostanzialmente ad una contesa tra Dream Theater e Porcupine Tree, da sviluppare nella scelta di quale dei due seminali colossi del genere sia stato più influente nella stesura e nella realizzazione del prodotto in questione.
Più raramente capita d’incontrare gruppi capaci di concepire nuovi ed interessanti paesaggi sonori, contaminati da tante diverse realtà musicali in maniera carismatica e ispirata, in cui il contributo di un non indifferente quid creativo riesce a proiettarli in quel nobile ambito artistico da cui è bandita ogni forma di qualunquismo stilistico.
Gli Everwood, band ungherese al terzo full-length, si avvicina “pericolosamente” a quest’ultima categoria d’interpreti, sfornando un disco che non esito a definire un gioiellino di moderno hard-rock progressivo, dove gli influssi (quelli dei monumenti già citati, assieme a Yes, Styx, Kansas e poi ancora Prophet, Enchant, Pain Of Salvation, Slaves To Fashion e parecchi altri …) sono funzionali alla realizzazione di un caleidoscopio sonico di enorme suggestione, elaborato con la classe, la versatilità, la vocazione e la cultura di chi non si adagia nell’allineamento a posizioni dominanti e cerca con ogni mezzo di fornire una “propria” versione dei fatti.
Tecnica ineccepibile e non ostentata, una notevole propensione melodica e una mente “aperta”, lucida e sensibile (il concept lirico ruota attorno al tema di una disamina spirituale del ciclo dell’esistenza umana), rappresentano le fondamenta da cui si dipana un percorso emotivo contemporaneamente mutevole e istintivo, sospeso idealmente tra il passato e il presente della porzione più “illuminata” del rock, ratificando per “Without saving” un senso di piacere istantaneo, che accresce in maniera esponenziale man mano che le sue spire vi avvolgeranno completamente con la reiterazione degli ascolti.
L’inizio è incoraggiante e tuttavia probabilmente non del tutto rappresentativo di ciò che ci aspetta: “Rain” manifesta le velleità di una forma pulsante di metallo progredito, dominato dalle scintillanti tastiere di Attila Tanczer, dalla bella voce di Matyas Haraszti e da una contagiosa e solida struttura armonica, eppure è solo con la successiva “Never trust a snake” che comincia a delinearsi la vera identità della band magiara, in questa circostanza alimentata da una melodia ancor più insinuante e da un gusto “estetico” tale da poter addirittura tentare sconfinamenti nell’esclusivo mondo del mainstream.
Con “Desert sun”, poi, il “gioco” inizia davvero a farsi “serio” … gli aromi arabeggianti inebriano i sensi, mentre la portante melodica solca territori raffinati e aristocratici … il risultato è una sorta di esotico prog-AOR dagli esiti veramente appassionanti.
Emozioni a profusione arrivano anche da “Free” e da “Quit without saving”, un oblio drammatico, intimo e sentimentale ordito sulla struggente laringe di Haraszti e su un suggestivo arrangiamento orchestrale, dalla splendida “Experience this”, un esperimento di pomp per il terzo millennio perfettamente riuscito e da “Walls”, una straordinaria e inquieta dissertazione oriental-doom-prog emotivamente attanagliante.
Chi cerca un superiore coefficiente di aggressività e imprevedibilità la potrà trovare in “Can't find”, in cui sembra quasi di ascoltare dei System Of A Down barocchi, mentre "Make me famous” riserva un analogo trattamento per i Metallica, aggiungendo alla brillante prospettiva, forse in ossequio titolo del brano, un’imponente dose di affabilità adatta alle programmazioni radiofoniche contemporanee.
Lo strumentale “Pieces” estende la sontuosa attitudine del gruppo anche a questa istituzionale soluzione espressiva, “My own vision” è un avvincente numero di hard-rock interstellare straniante e fervido (bello il synth solo e il vibrante tocco Rush-esque) e anche “Insecure”, che invade i terreni pop-rock con la consueta classe e distinzione, contribuisce a rendere gli Everwood una delle più significative e vitali realtà del settore, di quelle che sanno ancora abbattere certe piccole barriere e parlare tanti linguaggi in modo intenso, intelligente e accattivante.
Ora sta a voi non lasciare che tutto questo ingegnoso potenziale finisca per disperdersi nei meandri del mercato discografico attuale, certamente più generoso nell’offerta che nelle idee.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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