Copertina 6

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2012
Durata:42 min.
Etichetta:Coroner records

Tracklist

  1. ASCEND TO THE THRONE
  2. THE COMPASS
  3. WHISPERS OF HOPE
  4. REJECT THE MOULD
  5. INFLEXIBLE KINGDOM
  6. INSTRUCTION CYCLE
  7. LOST IN OBLIVION
  8. DECODING REALITY
  9. DARE TO CROSS
  10. FALL TO DRAMA
  11. DEFYING THE GODS

Line up

  • Dalay Tarda - Vocals
  • Hugo Markaida - Lead Guitar
  • Javier Martin - Rhythm Guitar
  • Asis - Bass
  • Xabier Del Val "Txamo" - Drums

Voto medio utenti

Spagnoli d’origine, I Rise to Fall ci riprovano con questo secondo disco intitolato “Defying the Gods”, dopo un debutto a dir poco mediocre, pieno di scopiazzature dai dischi dei loro beniamini (In Flames su tutti) e da brani prevedibili almeno quanto i testi dei Manowar.

In questo nuovo album, interamente prodotto da Ettore Rigotti (mastermind dei Disarmonia Mundi) nei suoi Metal House Studio torinesi, il quintetto basco apporta un deciso miglioramento nel songwriting, pur senza presentare momenti particolarmente esaltanti. È ancora molta la strada da percorrere per i Rise to Fall prima di riuscire ad emergere dall’anonimato, ma ci sono dei passi avanti anche piuttosto evidenti di cui è giusto rendergliene atto.

Definiscono il loro genere “Modern Melodeath”, a cui io aggiungerei il suffisso “-core”, tante sono le influenze deathcore/metalcore presenti all’interno dei brani. Le principali fonti da cui i Rise to Fall pescano a piene mani erano e restano senza alcun dubbio In Flames e Soilwork, con l’aggiunta di un approccio alla melodia simile agli Scar Symmetry. Una strizzatina d’occhio a sonorità più marcatamente moderne, con un’elettronica appena accennata da un uso delle tastiere vicino ai giapponesi Blood Stain Child, chiude il cerchio delle influenze dell’album.

L’album scorre senza lasciare particolari emozioni, ancora troppo schematico e prevedibile. Nonostante tutto, i brani non sono brutti, si lasciano ascoltare anche piuttosto volentieri, le scopiazzature da dischi altrui sono anche diminuite rispetto al precedente debutto, ma per quanto mi riguarda, è ancora troppo poco per uscire dalla mediocrità.

La biografia definisce “Defying the Gods” come “un must per i fans di In Flames e Soilwork”. No, non oserei tanto. Piuttosto un buon passatempo su cui non riporre troppe aspettative e, magari, attendere qualcosa di più personale per il futuro.
Recensione a cura di Simone Carta

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