Copertina 7

Info

Genere:Black Metal
Anno di uscita:2004
Durata:45 min.
Etichetta:Rage of Achilles
Distribuzione:Masterpiece

Tracklist

  1. SICKNESS
  2. FILTHY BLACK SHIT
  3. AND STILL THE DREAMER SLEEPS
  4. THE ETERNAL SEA
  5. SUBLIMINAL HELL
  6. THE END
  7. TWO OF A KIND
  8. NO LIGHT
  9. TALKING TO GOD

Line up

  • Migg: all instruments
  • The Fog: vocals
  • Shid: vocals

Voto medio utenti

Non riesco proprio ad immaginare cosa potrebbe dire Migg, già leader degli Anaal Nathrak, in un'ipotetica discussione con Dio. Volgarità a parte, la lettura dei criptici testi non chiarisce assolutamente l'interrogativo. I Frost di presentano con una tra le formazioni più strane che mi sia capitato di vedere: Migg si è occupato di comporre la musica e suonare tutti gli strumenti, mentre alle vocals si alternano ben due interpreti - The Fog e Shid, anche se la duplice presenza sembra piuttosto forzata, dato che in nessuno caso si ha l'impressione di vivere questa dualità con uno stacco netto tra l'esecuzione dell'uno o dell'altro. Le prime tre canzoni sono qualcosa di spaventoso, se prese come dimostrazione d'intenti da parte dei Frost. Più concettualmente che musicalmente, visto che come stile non ci allontaniamo più di tanto da quel black metal moderno originato dall'extravaganza dei Sayricon, il gruppo inglese ci mostra la propria visione di morte e depravazione, "pesante come un cancro che succhia via tutta la vita". "Sickness", "Filthy Black Shit" e "And Still The Dreamer Sleeps" (il vero highlight dell'album) spazzano via quanto fatto nel precedente album e in un certo senso danno una grande iniezione di personalità alla band, con una voce femminile che si incastra alla perfezione in uno dei pochi pezzi in cui la malinconia riesce a sovrastare la malattia. "And Still The Dreamer Sleeps", in particolare, è più veloce e ritmata; ma nonostante questo non rinuncia ad una dose di riff talmente schizofrenici che non sarebbero riusciti a scappare neanche dalla mente deviata di Snorre Ruch dei Thorns. Il suono acido e tagliente delle chitarre ci trasporta in una dimensione fredda e meccanica, scandita dai rigidi tempi della batteria, dove le voci dei due interpreti danno vita agli incubi dei Frost. Se l'album finisse qui staremmo parlando di un capolavoro, ma purtroppo la band nei successivi pezzi si perde in rallentamenti che sciolgono la tensione creata e scadenti imitazioni dello stile irraggiungibile di Attila Csihar, sprecando quanto fatto in precedenza. Tuttavia il trittico iniziale è qualcosa di spaventoso, capace da solo di reggere un album altrimenti solo mediocre.
Recensione a cura di Alessandro 'Ripe' Riperi

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