Copertina 5,5

Info

Anno di uscita:2011
Durata:79 min.
Etichetta:Firestarter Music

Tracklist

  1. THIS HOUR OF OURS
  2. TO CONCEIVE A PLAN
  3. THE BOY IS DEAD
  4. FOR ALL WRONG REASONS
  5. AND NOW TO FIND A FRIEND
  6. WITH WHAT I SEE
  7. HUNTING IS FOR WOMEN
  8. EVEN IN HEAVEN
  9. CONDUIT TO THE SKY
  10. HAUNTING ME!
  11. DIVINE

Line up

  • Douglas Skene: Acoustic /Electric Guitars &Lead Vocals
  • Mitch Coull: Acoustic/Electric Guitars & Vocals
  • Jessica Martin: Bass Guitar & Vocals
  • Phill Eltakchi: Keyboards & Vocals
  • Mathew Irsak: Drums & Percussions

Voto medio utenti

Un’opera immensa, ma solo nella durata: siamo sugli ottanta minuti. Synthetic è il debut album degli australiani Hemina che hanno avuto la non felicissima idea di presentarsi con un concept, mossa sempre rischiosa che non a tutti riesce alla prima. Soggetto di questo lavoro è la vita di un essere celestiale nato nel nostro complicato mondo inserita in un background progressive metal.
Le lead vocals sono affidate a Douglas Skene, ma di fatto con la sola esclusione del batterista cantano tutti con un discreto esito limitato anche da lyrics ristrette nel contenuto e nella metrica. Amabile l’atmosfera realizzata dalla cooperazione di tastiere e chitarre anche i dettagli sono ben curati e messi in risalto da una buona produzione. Il percorso di questo concept ha una linearità e un’evoluzione che però non riesce ad esprimere al meglio quel pathos che si percepisce pulsare tra una nota e l’altra.
Bene, l’esempio che ci portano è quello giusto: Synthetic è come quest’angelo che per varie vicissitudini fatica a spiegare le sue ali e spiccare il volo o al massimo vola basso. Nonostante la durata non si può dire che sia un disco pesante oppure noioso ma ci sono alcuni spazi vuoti o riempiti non proprio al meglio. Qualche virtuosismo ci sarebbe stato bene vista appunto il volume a disposizione e le capacità dei componenti i quali dimostrano nonostante tutto di avere stoffa. Un ascolto da non disprezzare ma a onor del vero manca un po’ di sale che renda il tutto più saporito. Come la seconda traccia “To conceive a plan”, occorre studiare un piano per riuscirci.
Poi -anche se questo c’entra poco con l’album in sè- il presentarsi con la pretesa di essere simili a gente del rango di Pink Floyd, Dream Theater e Ayreon (a cui in effetti aspirano maggiormente), nomi che hanno nelle loro linee figure che rappresentano capitoli interi di storia della musica. Ecco, qui bisognava sì volar basso ragazzi!

C’erano tutti i presupposti per un ottimo prodotto, ma sono stati offuscati dal voler tentare l’impresa. Peccato, un’occasione mancata!
Recensione a cura di Salvatore Sanzio

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