Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2004
Durata:54 min.
Etichetta:SPV
Distribuzione:Audioglobe

Tracklist

  1. SLUT MACHINE
  2. SUPERCRUEL
  3. ON THE VERGE
  4. UNBROKEN (HOTEL BABY)
  5. RADIATION DAY
  6. MONOLITHIC
  7. THE RIGHT STUFF
  8. THERE’S NO WAY OUT OF HERE
  9. MASTER OF LIGHT
  10. TOO BAD
  11. ULTIMATE EVERYTHING
  12. CNN WAR THEME

Line up

  • Dave Wyndorf: vocals
  • Ed Mundell: lead guitar
  • Phil Caivano: rhythm guitar
  • Jim Baglino: bass
  • Bob Pantella: drums

Voto medio utenti

Inutile negare che per una determinata parte del pubblico heavy l’uscita di un disco dei Monster Magnet sia un evento di notevole importanza.
Non stiamo parlando di qualche valoroso ma sconosciuto gruppetto underground, i M.M. al pari dei Fu Manchu e soprattutto dei Kyuss sono i pionieri della rinascita di una precisa mentalità rock, un modo di rapportarsi alla musica che bilancia presente e passato, anni ’70 e nuovo millennio, una missione cominciata quando termini come “stoner” e “psych-rock” non esistevano ancora o erano scomparsi da tempo.
E’ grazie al successo ed alla visibilità dei gruppi succitati che ha preso vita un intero movimento di ripristino del vero heavy rock, un settore che negli ultimi anni ha conosciuto una diffusione sempre più capillare e che malgrado i naturali momenti di stasi non accenna a contrarsi, pur con il sotterraneo ostacolo della critica specializzata.
Così i tre anni trascorsi dall’ultimo “God says no”, che avrebbero portato l’oblìo su formazioni di minor importanza, non hanno mitigato l’attesa dei fans né hanno scalfito la carica energica della band, che anzi ritroviamo ricca più che mai di una rabbia e di una determinazione figlia dell’ennesima svolta della carriera.
Come sappiamo i M.M. non sono nuovi ai cambiamenti, merito del decisionismo e del carisma un po’ dittatoriale del leader Wyndorf. Abbandonate da tempo le frustate heavy-psych del fenomenale “Spine of God” ed il fascino lisergico di “Superjudge”, il gruppo ha gradualmente virato verso un hard rock torrido, selvaggio ed anthemico, guadagnandosi il supporto di una major, cosa più unica che rara in questo ambito. Ma non poteva durare. Interessi economici e libertà artistica quasi mai riescono a coesistere o magari Wyndorf si è semplicemente stufato delle solite facce, avvenimento non insolito. Il risultato è che ritroviamo i Magnet nel cartello di una grossa indie e con line-up nuovamente rinnovata. Fuori Calandra e Kleiman, dentro Jim Baglino (Lord Sterling) e Bob Pantella (ex-Raging Slab, epoca esordi), produzione affidata a Scott Humphrey (Rob Zombie, Spineshank, Andrew W.K.) ed un bel po’di nervoso da scaricare con testi astiosi verso il music-business, i media, l’informazione drogata, il consumismo usa e getta, e così via.
La direzione è quella degli ultimi due lavori, nessuno si attendeva qualcosa di diverso, ma traspare sin dall’inizio un fresco dinamismo ed un songwriting meno patinato e stanco che nel recente passato.
Si parte subito con due botte ruvide ed aggressive come “Slut machine” e “Supercruel”, ritmiche bombastiche e ritornelli memorabili, fucilate secche e dirette con qualche superlativo ricamo di Mundell, tornato protagonista ai massimi livelli. Irresistibili per immediatezza ed orecchiabilità sia “Monolithic”, entusiasmante come mi si è subito stampata nella mente, che “Unbroken (Hotel baby)”, singolo dal quale viene ricavato il solito video ruffiano stile “bulli & pupe”, atteggiamento irrinunciabile per i Magnet.
La vera differenza la fanno però i brani più dilatati ed articolati, ritrovando in parte le atmosfere piene di tensione acida e stralunata che avevano caratterizzato i primi lavori. La cavalcata in crescendo di “On the verge”, molto seventies, il riffone stoneggiante dell’up-tempo “Radiation day”, la lunga “Ultimate everything” sinuosa e martellante, vocals allucinate e brucianti voli della lead, spargono nell’aria il profumo da primi della classe e bilanciano ampiamente un paio di episodi meno riusciti (“Master of light”,”Too bad”) che ai Magnet possiamo perdonare dopo la lunga assenza.
Ancora due parole sull’interessante coppia di cover poste nella parte centrale dell’album. La prima è una stupenda versione trippy di un vecchissimo brano dei Capt.Lockeed & the Starfighters, progetto di Robert Calvert che fu vocalist originario degli Hawkwind, mentre la seconda è una ballata elettroacustica proveniente dal primo lavoro solista di David Gilmour, che Wyndorf ha definito come “ultimo vero disco dei Pink Floyd”. Pur non essendo brani originali, l’impronta personalissima posta dai Magnet li rende perfettamente coerenti con il resto del lavoro e tutt’altro che semplici riempitivi.
Amando moltissimo questa formazione sarei propenso ad usare toni entusiastici per valutare il rientro di Wyndorf e compagni, ma occorre essere obbiettivi fino in fondo e non sparare voti e giudizi a caso. “Monolithic baby!” non è un capolavoro, un classico di ogni tempo, ma rappresenta un forte rilancio rispetto al precedente lavoro dei Magnet ed è un solido, bollente, eccitante, disco di heavy rock come solo le migliori band sanno proporre. Basta e avanza per consigliarlo a tutti coloro che vogliono musica vera e non si accontentano della mediocrità che vogliono imporci oggi.

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