Three Monks - Neogothic Progressive Toccatas

Copertina 8

Info

Genere:Prog Rock
Anno di uscita:2010
Durata:50 min.
Etichetta:DryCastle Records
Distribuzione:Black Widow Records

Tracklist

  1. PROGRESSIVE MAGDEBURG
  2. TOCCATA NEOGOTICA # 1
  3. NEOGOTHIC PEDAL SOLO
  4. HERR JANN
  5. DEEP RED (PROFONDO ROSSO)
  6. PROFONDO GOTICO
  7. TOCCATA NEOGOTICA # 7

Line up

  • Paolo Lazzeri as "Julius": pipe organ
  • Maurizio Bozzi as "Bozorius": electric bass
  • Roberto Bichil as "Placidus": drums, percussions
  • Claudio Cuseri as "Ursinius": drums, percussions

Voto medio utenti

Il monicker del gruppo, i nicknames scelti dai protagonisti, l’artwork e il titolo del disco rimandano direttamente alle oscure ambientazioni medievali de “Il nome della rosa”, mentre la presenza di una cover di “Deep red (profondo rosso)” non può che condurre la mente a quei diavoletti sgraziati e maliziosi che imperversano nelle favole nordiche, diventati nelle sapienti mani di Claudio Simonetti (senza dimenticare il contributo essenziale di Giorgio Gaslini) e dei suoi pards uno dei capostipiti del connubio tra grand-guignol, tastiere e creatività.
Affascinati istintivamente da tali presupposti, si scopre che in realtà dietro ai Three Monks di “Neogothic progressive toccatas” c’è questo e anche molto di più, a partire da un concept che attraverso le storie di “strumenti eccellenti” (quello nella cattedrale di Magdeburgo, quello nella Basilica di Waldsassen o quello dell’Abbazia di San Florian …) vuole in qualche maniera celebrare il ruolo fondamentale dell’organo nell’ambito della musica rock, dominata dalle chitarre finché una rivoluzione capeggiata da gente come Keith Emerson, Vincent Crane e Rick Wakeman dimostrò che i tasti d’avorio potevano essere protagonisti assoluti anche in quel formato strumentale e vocale, attestando, inoltre, l’assoluta compatibilità del genere con la musica classica e il jazz (ai tempi i Nice furono definiti “Bach, beat and blues”).
Nell’albo, poi, è rilevabile l’incredibile cultura specifica di un autentico “mostro” dell’esecuzione come Paolo Lazzeri, refrattario alla tentazione del virtuosismo eppure sempre conturbante ed equilibrato, così come altrettanto “impressionante” appare il suo stile compositivo, indirizzato costantemente alla suggestione di rara efficacia, senza scadere mai nel numero “ad effetto” e realizzando un’opera capace di un’imponente trance caliginoso - meditativa, in cui il feeling e il trasporto emotivo sono sicuramente archiviabili sotto la voce “esperienze sensoriali non comuni”.
Citare Goblin, New Trolls, Rovescio della Medaglia (ma anche gli Standarte di Michele Profeti e gli Areknamés, per rimanere in casa Black Widow), ELP, Atomic Rooster, Par Lindh, Triumvirat e poi “scomodare” addirittura Bach, Liszt, Mendelssohn e Musorgskij è un’operazione certamente utile ad inquadrare genericamente il “prodotto” e tuttavia limitativa perché non riesce probabilmente a sviscerare compiutamente il senso di grandeur barocca, il sottile filo d’inquietudine e l’oscuro richiamo evocativo tipico di certa narrativa gotica, le sublimi variazioni di romantico prog rock sinfonico di cui è capace “Neogothic progressive toccatas” dove, è bene sottolinearlo, se Lazzeri è l’indiscutibile mattatore, il resto del Monastero (soprattutto "Bozorius") svolge al meglio la funzione di eccelso supporto al suo Abate.
In mezzo a tanta suggestione emozionale, mi limito a due sole segnalazioni: la prima, in qualche modo necessaria vista la notorietà del brano, va alla succitata riedizione della memorabile “Profondo rosso” (“Deep Red (profondo rosso) / Profondo gotico”), realizzata con rabbrividente devozione e solenne personalità, laddove per la seconda, intitolata “Neogothic pedal solo”, le motivazioni si fanno più funzionali, identificando nel brano una piccola anomalia strutturale all’interno del Cd, in cui il basso e un coro monastico conquistano il proscenio prima dell’organo, realizzando un’ambientazione complessiva che pare davvero materializzare i religiosi avvezzi a veleni e volumi miniati di Umberto Eco o, volendo, anche talune atmosfere da “Il fantasma dell’Opera” di Leroux-iana memoria.
Qualcuno potrebbe identificare questo lavoro così particolare come una stravaganza, magari anche degna d’interesse, per quanto mi riguarda, siamo di fronte ad un vivido esempio d’ispirazione visionaria e anti-convenzionale … e di questa “roba” ce n’è sempre un gran bisogno.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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