Soulline - The Struggle, the Self and Inanity

Copertina 7,5

Info

Genere:Death Metal
Anno di uscita:2010
Durata:40 min.
Etichetta:Quam Libet Records

Tracklist

  1. GREED, SWEET NEED
  2. STILL MIND
  3. THE CALLING SPIRIT OF PURIFICATION
  4. A NEW IDENTITY
  5. NEWER ORDER OF REALITY
  6. THE NEEDS OF MANKIND
  7. THE HOUSE OF ENLIGHTENMENT
  8. HYPNOTIZED

Line up

  • Klod: Vocals
  • Lorenzo Barenco: Guitars, Vocals
  • Dino Gaggini: Bass
  • Marco Alberti: Guitars
  • Yuvi: Drums
  • Zuri: Keyboards

Voto medio utenti

Formatisi già undici anni fa ed autori del debutto "Oblivium" nel 2007, ecco tornare gli elvetici Soulline col secondo lavoro intitolato "The Struggle, the Self and Inanity", pubblicato dalla Quam Libet Records.

Il genere proposto dal sestetto svizzero è formato da un death metal di fondo, notevolmente stemperato dai numerosi interventi di clean vocals e dall'ampio utilizzo di melodie dal tono decadente e romantico; il mood di questo album è decisamente scuro, pessimista e questo è decisamente un bene poichè conferisce ai brani quell'aura di negatività e di tristezza che adorna in maniera speciale canzoni già valide in partenza.

Già l'iniziale "Greed, Sweet Need" denota una grande cura negli arrangiamenti e nell'attenzione ai cori, supportati da grandi aperture melodiche, mai pacchiane e banali come spesso accade in generi come il metalcore, come detto tendenti ad atmosfere rarefatte e rassegnate, segnalandosi come uno dei brani più interessanti del disco, alla pari
delle seguenti "Still Mind", "The Calling Spirit of Purification" e "A New Identity", che formano un poker veramente azzeccato, sebbene si prosegua su questi livelli con ottime composizioni, come la tastieristica "The Needs of Mankind", davvero apocalittica e sentita, e "The House of Enlightenment", in cui sinistri rimandi agli Atrocity di "Todessehnsucht" fanno apparire un timido sorriso sulle nostre bocche e la conclusiva "Hypnotized", probabilmente la migliore del lotto grazie alle asfittiche sensazioni comunicate.

Tutti i brani hanno il pregio di essere freschi e briosi, di durata mai eccessiva (raramente si sforano i 5 minuti) e quasi sempre su ritmi sostenuti, spezzati intelligentemente da break melodici rallentati; la produzione pur non facendo gridare al miracolo è ben realizzata, così come il booklet, molto semplice ma chiaro e completo.

Tra echi di Mercenary, Opeth, The Fall of Every Season, decisamente una band molto valida e foriera di un album sorprendente e più che all'altezza.
Recensione a cura di Gianluca 'Graz' Grazioli

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