Copertina 7

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2010
Durata:51 min.
Etichetta:Pure Steel Records

Tracklist

  1. LEGIONS OF TEH STAR SCROLL
  2. THE BRUISE
  3. METALKILL THE WORLD
  4. BEHIND THE CELL
  5. BLIND AND UNCONSCIOUS
  6. DEFIANCE, DESPERATION, DEFEAT
  7. REMNANTS OF THE STORM
  8. PRIVILEGE OF SUFFERING

Line up

  • Mike Quimby Lewis: vocals
  • Dave Hillegonds: guitars
  • Dean Tavernier: guitars
  • Peter Clemens: bass
  • Joe Garavalia: drums

Voto medio utenti

"Metal blazing loud, show the sign...", così iniziava "The Night of Metalkill", opener dell'opera prima degli Skullview, e che il segno lo abbiano seguito lo hanno dimostrato nel tempo, a dispetto di mille difficoltà e senza mai mollare, incidendo poi altri tre album, l'ultimo del quale si intitola (pensa te...) proprio "Metalkill the World".
Gli Skullview, con il rientro nei ranghi del cantante Mike Quimby Lewis, si ripresentano nell’inossidabile formazione classica, quella che ha inciso (Eric Flowers aveva partecipato solo al Demo del 2004) anche i precedenti dischi, ed ora rieccoli alle prese di un album di puro ed incontaminato Heavy Metal made in U.S.A., d'estrazione ancora più classica di quella di Omen, Liege Lord o Jag Panzer.
Una cavalcata metallica ("Legions of the Star Scroll") ed una mazzata "old school" in piena faccia ("The Bruise") sono il primo impatto con l'ultimo parto degli Skullview, e subito Quimby Lewis si conferma vocalist irrefrenabile, con Dickinson, Halford ed Adams nel mirino, anche se talvolta tende ad esagerare.
La lunga titletrack ha poi un bel passo epico e manowariano, con Lewis che si sbatte (ovviamente facendo headbanging) tra Eric Adams e Tim Baker (Cirith Ungol), mentre con "Behind the Cell" gli Skullview si rifanno sotto compatti ed immediati, per ammorbidirsi in occasione di "Blind and Unconscious", energica ballad tirata un po' per le lunghe e non adeguatamente sorretta da una resa sonora fin troppo ottantiana che finisce per fiaccare le chitarre di Dave Hillegonds e Dean Tavernier, e dove lo stesso Lewis non è esente da qualche affanno.
Il terzetto di brani conclusivi, si apre con il basso di Peter Clemens pulsante su una "Defiance, Desperation, Defeat" vagamente thrasheggiante, prima di passare all'Heavy cadenzato dell'ottima "Remnants of the Storm" ed infine alla battagliera (un pizzico di U.S. Power e tanto di Manowar) "Privilege of Suffering", che pone il sigillo ad un album non imprescindibile per la scena Metal, ma fatto con il cuore… e le palle!

La vecchia guardia non molla!
Recensione a cura di Sergio 'Ermo' Rapetti

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