Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2010
Durata:53 min.
Etichetta:Escape Music
Distribuzione:Frontiers

Tracklist

  1. HEAVEN & HEART - A REQUIEM TO MARCEL JACOB
  2. CAUGHT IN BETWEEN
  3. TOP OF THE WORLD
  4. CANDLE IN THE DARK
  5. COME RAIN OR SHINE
  6. HEARTBREAKER
  7. LAST MISTAKE
  8. SEE MY BABY JIVE
  9. RENEGADE
  10. WHAT’S ON YOUR MIND
  11. HOW LONG
  12. SURRENDER
  13. JENNY’S EYES

Line up

  • Mikael Erlandsson: vocals, keyboards
  • Andy Malecek: guitars
  • Jamie Borger: drums, backing vocals
  • Nalley Pahlsson: basso, backing vocals
  • Marcel Jacob: bass solo
  • Peter Södeström: additional guitars
  • Richard Quist: additional keyboards
  • Ulf Wahlberg: additional keyboards
  • Jeff Scott Soto: backing vocals on “Last Mistake”

Voto medio utenti

Era inevitabile che il nuovo disco dei Last Autumn’s Dream fosse ammantato di un velo di vibrante malinconia. La prematura dipartita di Marcel Jacob, il grande bassista che della band è stato un fondamentale animatore (ma lo ricordiamo anche in Talisman, Rising Force, Eyes, Human Clay, …), non poteva in alcun modo passare sotto silenzio.
Il titolo, alcune delle liriche e delle atmosfere dell’albo, la presenza dell’ospite e amico Jeff Scott Soto, oltre all’esplicito pensiero esternato in ”Heaven & heart” (toccante la dedica dei ragazzi al loro compagno scomparso, apprezzabile nel booklet del Cd), dove sono proprio la voce e il basso di Marcel ad essere i fugaci protagonisti, rimandano inesorabilmente a questo evento triste e lacerante, che per un attimo ha presumibilmente messo in discussione la prosecuzione della carriera stessa della band svedese.
In fondo, però, la vita va avanti, e anche senza voler cinicamente rammentare il numero verosimilmente importante di fattori economici in gioco, diciamo che continuare a fare quello che per molto tempo Jacob ha amato nella sua esistenza troppo breve, può essere valutato come il modo migliore per ricordarlo, per la gioia dei tanti fans del gruppo, in ansia per le sorti dei loro beniamini.
Reclutato Nalley Pahlsson, per la cronaca un eccellente sostituto, Mikael Erlandsson e i suoi pards ritornano, dunque, con un lavoro ancora una volta da intendere come un’assoluta priorità per i sostenitori dei suoni melodici d’estrazione nordica, dimostrando di saper percorrere abilmente il confine tra AOR, pop e hard rock ed evidenziando, forse (ma potrebbe trattarsi anche solo di una suggestione dovuta alla situazione contingente), una profondità emotiva più penetrante del solito, quasi che questa drammatica circostanza li avesse resi maggiormente sensibili nelle loro soluzioni compositive.
Come anticipato, è possibile che si tratti solo di un’impressione, anche perché i LAD hanno da sempre evidenziato notevoli facoltà comunicative e una grande classe esecutiva, elementi fondamentali per chi, come loro, omaggia con rilevante freschezza i dogmi di una musica “rigorosa” nella forma e in cui la differenza la fa la “sostanza” di un’attitudine naturale e di una vocazione nel songwriting che celebra i maestri e non tenta di emularli in maniera improduttiva.
Qualcuno potrà rilevare una mancanza d’evoluzione o una carenza d’ambizione nel non cercare di superare le facili aspettative, mentre personalmente ritengo che in circostanze come queste sia praticamente inutile cercare dell’originalità tout court; ciò che è veramente essenziale sono le belle canzoni, magari adeguatamente variegate nelle modalità espressive, interpretate da gente in grado di mescolare cultura e istinto in modo coerente e coinvolgente.
Poco importa, infatti, se “Caught in between” illustra evoluzioni degne dei Journey di “Frontiers” e “Escape”, se la voce di Erlandsson evoca il timbro di Perry, Bon Jovi e Brian Adams, se la favolosa “Top of the world” sembra uscita dalla penna di Zeno Roth, se “Candle in the dark” e “Renegade” appaiono come power ballads sicuramente “classiche” nei loro tracciati esecutivi e se pure la strepitosa carica passionale di “Jenny’s eyes” riesce ad attanagliare i sensi con modalità non “rivoluzionarie”: la vera e unica cartina tornasole della situazione è l’insorgere dei brividi d’approvazione, e questa roba ne sviluppa a profusione.
Ottime vibrazioni arrivano anche da “Come rain or shine” e “Heartbreaker”, marchiate linee melodiche che, nelle mani dei The Rasmus, potrebbero fare faville nelle classifiche di vendita, dalla vivace disinvoltura di “What’s on your mind” e da “Surrender”, pregevole (benché non molto temeraria) rilettura degli istitutori americani del [I]bubble-gum hard rock[/I] intelligente Cheap Trick.
Per quanto riguarda il resto del programma, giudico “Last mistake” e la vaporosa “How long” brani piuttosto gradevoli, ma un po’ troppo “prevedibili” e il rock n’ roll “See my baby jive”, un divertente diversivo in pieno mood fifties.
Non raggiungono l’intensità del “Colpo di Grazia” dei Treat, ma tra le uscite recenti del settore, questo “A touch of heaven” si posiziona a ridosso dell’eccellenza, nella mia personale playlist del consenso … un bel modo per salutare un amico che non c’è più e contemporaneamente sollevare le esistenze di tutti i rockers dal “cuore tenero”.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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