Copertina 6

Info

Anno di uscita:2003
Durata:53 min.
Etichetta:Surrender
Distribuzione:Self

Tracklist

  1. DON’T DIE ASHAMED
  2. TERRIBLE THINGS
  3. THE GREAT OUTDOORS
  4. DAVES BIG SCORE
  5. WE ALL FORGET
  6. DOWN
  7. CITY RULES
  8. WE ARE THE SONS
  9. AKA ARROWCAT
  10. HER BRIGHT EYES

Line up

  • Nathan Bennet: vocals, guitar, keyboards
  • Mark Bihler: synthetizers, programming
  • Kevin Williams: guitar, bass
  • Nico Lippolis: drums

Voto medio utenti

Bridge and Tunnel è un progetto che nasce nel 1998 dall’incontro tra il musicista statunitense Nathan Bennet ed il produttore/giornalista tedesco Mark Bihler. L’idea è quella di produrre musica elettronica ambientale particolarmente scarna, essenziale e profondamente dark.
Due albums, il debutto omonimo nel 2000 ed il seguito “Without ghosts” l’anno successivo, poi l’improvvisa decisione di allargare la band inserendo altri due componenti: il chitarrista/bassista Kevin Williams (ex Fabric) ed il batterista Nico Lippolis.
Trasformati in quartetto i B&T realizzano il nuovo lavoro che li vede protagonisti di un sound tetro e severo, gelido e ricercato, nel quale confluiscono elementi darkwave, indie rock, electro-pop. Minimali chitarre acustiche si uniscono a basi elettroniche, languide melodie, cupi arrangiamenti d’archi, generando canzoni totalmente rilassate e rarefatte ma tutt’altro che luminose, coperte anzi da una spessa coltre di desolata disperazione e funerea tristezza.
Emerge una tensione drammatica nello scorrere il disco, che a tratti si manifesta sotto forma di glaciali nenie narcolettiche come la title-track o la cavernosa “We all forget”, in altri passaggi sfiora invece la new-wave ottantiana più cupa e perfino i Pink Floyd degli scenari notturni e cristallini, vedi la dolce e soffusa atmosfera elettroacustica di “City rules”.
Certo che l’immobilità soporifera di brani come “We are the sons” o “Down” diventa uno scoglio quasi insuperabile per chi non è fan sfegatato di formazioni come Jesus and Mary Chain o perlomeno dei Tool più sperimentali, e questo limita molto le possibilità della band di raggiungere un pubblico al di fuori di una nicchia selezionata.
Nella finale “Aka arrowcat” si entra addirittura in una dimensione drone-elettronica ossessiva e sfiancante, una trance industriale che reputo accessibile solo agli appassionati specializzati, e non è sufficiente a bilanciare la sensazione di agghiacciante monotonia una ottima “Her bright eyes”, che con il suo andamento sinuoso ed elegante rieccheggia le recenti produzioni strumentali dei magnifici Loose.
Un disco che si muove in territori agli antipodi del metal e del rock convenzionale, serio e misterioso perfino nell’artwork affidato all’artista giapponese Kensei Yabuno, ma talmente ermetico ed oscuro da scoraggiare ogni lettura superficiale e qualsiasi pretesa di una minima vivacità.
L’estrema pesantezza dell’ascolto ripetuto riduce la validità di questo lavoro, indispensabile un assaggio preventivo in caso di interesse all’acquisto.

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