Copertina 4,5

Info

Anno di uscita:2009
Durata:47 min.
Etichetta:ShoStroud

Tracklist

  1. CARVE YOUR NAME
  2. GRAVITY
  3. RISING
  4. A MEMORY
  5. SPIRIT GUIDE
  6. COITUS INTERRUPTUS
  7. HANYA
  8. EMERALD
  9. HOLLOW LAND
  10. DARK TIDES
  11. RAIN

Line up

  • Burton C. Bell: vocals
  • Ian White: guitars
  • Sho Murray: guitars
  • Byron Stroud: bass
  • Bob Wagner: drums

Voto medio utenti

Nato a Vancouver, in Canada, grazie all’incontro di musicisti con diverse e importanti esperienze alle spalle, il progetto City Of Fire giunge alla fine del 2009 al debutto discografico con l’album omonimo. Trovandomi di fronte a nomi come Burton C. Bell (Fear Factory) e Byron Stroud (Zimmer's Hole, Fear Factory, Strapping Young Lad), mi aspettavo qualcosa di completamente diverso ma, soprattutto, avevo riposto parecchie aspettative in questo disco. Le uniche conferme mi sono arrivate dal buon Burton, che dimostra una versatilità fuori dal comune. Lanciato anche attraverso le ovvie ed entusiastiche affermazioni dei protagonisti, il lavoro veniva presentato come un misto di metal, hard rock e punk. Ora, dove siano queste tre componenti qualcuno me lo deve proprio spiegare.

Il disco si apre con la claustrofobica Carve Your Name, pesante e cattiva, che non convince al 100% ma lascia comunque ben sperare per il proseguo. Invece accade l’irreparabile. Le tre canzoni successive sono molli, spesso accompagnate da chitarre acustiche e strizzano pesantemente l’occhio al grunge. Spirit Guide è sulla falsariga delle precedenti ma alza un pochino il tiro, mentre Coitus Interruptus (complimenti anche per il titolo...) si può definire una canzone essenzialmente nu-metal, che tuttavia rimane senza mordente e non riesce quasi mai ad essere trascinante negli oltre cinque minuti di durata. La seguente Hanya rimane forse la canzone più riuscita dell’intero album, insieme alla conclusiva Rain (una ballad), ma il successivo break acustico Emerald ci riporta nello sconforto e nella tristezza. Le canzoni che portano alla fine del disco non migliorano certo l’atmosfera, destando gli ennesimi dubbi sullo spessore di questo prodotto, e pezzi come Dark Tides fanno chiedere, veramente, se questo disco non sia una presa in giro colossale.

Tre ascolti. Interi. Con una nottata in mezzo. Ma in tutto questo lavoro non ho trovato un riff decente, un’idea nuova, uno spunto che possa superare la mediocrità che lo circonda. A qualcuno piacerà? Certo. Vi prego allora, con tutto il cuore, se gradirete questo disco, di riempire di commenti la recensione, in modo da farmi capire cosa attira il vostro gusto in questa immensa tristezza. La prossima volta spero vadano a registrare l’album a Las Vegas, magari ne escono più felici. Se questa è la direzione in cui va il carrozzone del metal, visto che da più parti è stato definito un album metal, fatemi scendere immediatamente, per favore. Lunga vita ai Fear Factory, che spero assorbano in futuro tutto il tempo di Burton C. Bell in modo da tenerlo lontano da questi esperimenti.
Recensione a cura di Alessandro Quero

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