Copertina 9

Info

Anno di uscita:2009
Durata:44 min.
Etichetta:Code666
Distribuzione:Aural Music

Tracklist

  1. DENSITY
  2. LEFTOVER
  3. CONSUMER
  4. DETRIVORE
  5. COMPACTOR
  6. REIGN
  7. COMMUNION
  8. VOLVOX

Line up

  • Gez Romano: vocals
  • Brooke Johnson: guitars
  • Ian Fenwick: bass
  • Jamie Blacker: synth & samples
  • Dan Mullins: drums

Voto medio utenti

I Minethorn sono il side-project di Brooke Johnson e Ian Fenwick degli Axis Of Perdition, nati nel lontano 1999 e solo oggi, ben dieci anni dopo, giunti al debutto con il presente “Junk Hive Noir”.
Sebbene la band citi come influenze Godflesh e Meshuggah, che ci stanno tutte, non capisco cosa abbiano a che fare con bands come Cannibal Corpse e Void Of Silence, citati, secondo il mio modesto parere, a sproposito.
Tuttavia, a parte questo, bisogna dire che viene riscattata la pessima figura fatta con l’ultimo disco degli Axis Of Perdition, “Urfe”.
Caratteristica principale di questo disco è quella di essere perfettamente in linea con il concept filosofico del genere di riferimento, industrial metal, dove le ritmiche assumono cadenze biomeccaniche, le atmosfere sono fredde e raggelanti, gli scenari disegnati sono grigi come l’acciaio e post-apocalittici. Per certi versi sembra di rientrare nel mood di dischi come “Nothing" dei Meshuggah o nei meandri della migliore produzione dei Godflesh, con un occhio ai maestri Voivod. Potenti anche gli echi degli Strapping Young Lad.
Cosa più importante, tuttavia a mio parere, è la volontà della band di non lasciare raccontare la storia di questo disco solo alle atmosfere, ma di picchiare duro e sodo, con pezzi quali “Leftlover” e “Compactor” capaci di immergere il vostro cervello in azoto liquido e frantumarlo in miliardi di piccoli pezzi con un maglio.
Il disco non ha cadute di tono, riesce a mantenere sempre viva l’attenzione ed, anzi, è capace di far viaggiare l’ascoltatore, grazie all’abilità di disegnare paesaggi disperati, senza alcuna speranza. Dal punto di vista concettuale questo disco ha poco di cibernetico, nel senso che a differenza di bands come i Fear Factory, che anelano alla perfetta fusione tra uomo e macchina, in questo disco c’è contrapposizione tra i due, con l’uomo che sembra sgomento di fronte ad un mondo alieno, ostile, crepuscolare, mefitico, ossessivo e ossessionante (“Communion”).
C’è terrore per questo modernismo che divora il mondo e lo riduce in cenere, e quando la trasmissione da questo mondo perduto finisce, “Trasmission Ends”, non si sentono più echi umani, ma solo il rumore freddo, sordo e ossessivo delle macchine.
Recensione a cura di Luigi 'Gino' Schettino

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