Anche gli
Isole hanno raggiunto la piena maturità. Le potenzialità sono sempre state evidenti, non lo metto in dubbio, ma i loro album pregressi presentavano più di un punto morto lungo la loro durata e nessun incentivo particolare all’ascolto, trattandosi di doom molto canonico e privo di appeal.
Con
“Silent Ruins” la musica cambia (non letteralmente…). Il gruppo vuole dimostrare di meritare un posto tra i grandi: concept ambizioso e ottimamente congegnato, sorprendente ispirazione in fase di songwriting e una perfetta padronanza degli strumenti, il tutto coronato da un’ottima produzione che risalta le tinte oscure e soffocanti del platter.
Uno degli aspetti più sorprendenti di “Silent Ruins” risiede nel legame testi-musica. La vicenda narrata si basa su uno scenario a dir poco apocalittico: un uomo si risveglia da un lungo torpore e vede attorno a sé solo distruzione e desolazione; è l’unico superstite di una catastrofe che in nessun modo riesce a spiegarsi. Dopo aver metabolizzato la cosa, l’uomo è invaso dai sensi di colpa: che sia stato lui stesso a provocare il tutto, essendo evidentemente
l’unico superstite?
Bene, vi basti pensare che musicalmente l’album riflette alla perfezione gli stati d’animo del protagonista e i contorni calamitosi dell’opera. “Silent Ruins” è doom sulfureo, senza speranza, ma è anche vigoroso, epico, ricco di sfaccettature, non ha momenti di stanca nonostante il minutaggio robusto di alcune tracce e la proposta degli svedesi risulta molto più ascoltabile rispetto gli standard passati, riuscendo addirittura a rievocare a più riprese, nei momenti più epici e travolgenti, i
Candlemass del periodo d’oro.
Fate vostro questo ottimo album, consigliato agli appassionati, ma anche a chi apprezza l’ottima musica in generale.
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