Copertina 7,5

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:1993
Durata:24 min.
Etichetta:GUN

Tracklist

  1. INTRO
  2. SYMPHONY OF DEATH
  3. BACK TO THE ROOTS
  4. HOUSE OF HORROR
  5. SHOUT IT OUT
  6. WORLD OF FOOLS
  7. WILD AND DANGEROUS

Line up

  • Chris Boltendahl: vocals
  • Uwe Lulis: guitars
  • Tomi Göttlich: bass
  • Jörg Michael: drums

Voto medio utenti

Siamo nel 1994, e dopo l’inaspettata rinascita dei Grave Digger con quella bomba a mano che risponde al nome di “The Reaper” ,la band pensa di far uscire un EP intitolato “Symphony Of Death”, a neanche 4 mesi di distanza dall’ultimo full lenght, dimostrando di avere ancora parecchie cartucce in serbo da sparare.

Contenente ben 6 pezzi inediti, più un intro iniziale, “Symphony Of Death” prosegue sulla stessa scia del lavoro precedente, mostrando il lato sempre più aggressivo dei becchini tedeschi, ma con pizzichi di una melodia che nella musica di Boltendahal e soci non ha fatto mai male. Se infatti l’innesto di Uwe Lulis, entrato ufficialmente nella band ai tempi di “Stronger Than Ever”, aveva apportato al gruppo un sound più ruvido, secco, e dannatamente più heavy metal, dall’altro l’innesto di Jorg Michael dietro le pelli, che purtroppo avrebbe lasciato i Digger dopo questa pubblicazione, dava un impatto non da poco.

Superata l’intro, è la Titletrack ad aprire le danze, con un riff che non fa prigionieri, e che mette in mostra sin da subito una produzione che valorizza tutti gli strumenti, e la successiva “Back To The Roots” migliora se possibile il tutto, e nonostante un testo non proprio originalissimo (band che viene in città per fare danni e quant’altro), dal lato musicale non suona per nulla banale, anzi. “House Of Horror” non avrebbe per nulla sfigurato su un album di King Diamond, tolto il fattore vocione da cavernicolo preistorico di Boltendahal, e seppur alcune similitudini nelle melodie con il pezzo precedente riesce a dire la sua. “Shout It Out” riprende il discorso di “Back To The Roots”, mentre con “World Of Fools” si ha un momento di diversificazione, con le strofe “cantate” da Boltendahal in pulito, in un mid tempo ben riuscito e che rivela come i Grave Digger non siano una band da sonorità unicamente spacca collo e basta.

Gli anni d’oro erano ormai arrivati per la band, che da lì a poco si sarebbe definitivamente imposta come una delle realtà heavy metal più “dure e pure” del decennio, e “Symphony Of Death” seppur la sua scarsa durata, ne rappresenta il cammino.

Recensione a cura di Francesco Metelli

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